Venezia – Marito e moglie con le gambe amputate “prigionieri” nell’alloggio: «Sepolti in casa per colpa della burocrazia»
Articolo pubblicato su Il Gazzettino (link)
«Restare inchiodata qui è una condanna a morte». Cristina V. e il marito Aldo B. sono invalidi civili al 100%. La coppia ha subìto infatti l’amputazione di entrambe le gambe a distanza di qualche anno l’una dall’altro. Lui, di 76 anni, a causa del diabete, mentre lei – nata a Venezia e classe 1954, ex cameriera ai piani all’hotel Excelsior del Lido e madre di tre figli – è stata operata circa un paio di anni fa in seguito ad una malattia rara che le ha provocato gravi problemi circolatori. Un’amica dà una mano a cucinare, mentre per la pulizia personale si affidano all’assistenza domiciliare. «Siamo sepolti in casa a causa della burocrazia», dichiara con esasperazione Cristina, spiegando come rimanere nell’attuale appartamento alla Giudecca, assegnato dal Comune e nel quale risiede con il coniuge dal 2001, non sia più praticabile. Appartamento che per Cristina ed Aldo, la cui quotidianità è fortemente condizionata dall’invalidità che li accomuna, non rispecchia più le caratteristiche necessarie per poter vivere dignitosamente.
BLOCCATI AL 1. PIANO
Innanzitutto la casa è al primo piano, senza ascensore, tanto da negare la possibilità di uscire anche semplicemente per una boccata d’aria. E al suo interno si distribuisce su due piani uniti da una scala interna inaccessibile, che nega alla coppia la possibilità di raggiungere quella che dovrebbe essere la camera da letto. La stessa che Cristina ed Aldo hanno tentato di ricreare al piano di sotto, dove sono stati allestiti un letto e una poltrona di fortuna sulla quale la donna trascorre le ore di sonno. Poco più di 70 mq complessivi – distribuiti in un condominio nel quale vivono una ventina di famiglie – contraddistinti da un bagno non adattato alla loro disabilità e con varchi fra una stanza e l’altra troppo stretti per un passaggio agevole e facilitato della carrozzina con la quale si muovono. «Abbiamo bisogno di un appartamento più grande – è l’accorato appello della donna, che da poco più di un anno paga 505 euro di affitto – che ci permetta di spostarci senza difficoltà. Vorremmo avere due camere matrimoniali per potervi mettere altrettanti letti per disabili che allo stato attuale non ci stanno. Un piano rialzato o un primo piano con ascensore. Mi sento impotente». La prima richiesta è partita circa tre anni fa, poi ripetuta il mese scorso, nella speranza che questa volta venga accolta per davvero. Anche perché Cristina, che nell’attuale abitazione è caduta più volte, fratturandosi un dito o provocandosi una ferita alla testa che ha richiesto tre punti di sutura, due case adatte a lei e al marito le avrebbe già individuate, e sempre alla Giudecca. «Sistemate e ristrutturate, pronte per accogliere persone nella nostra condizione».
LE TRE ASSEGNAZIONI
Va detto che il Comune ne aveva in passato assegnata una nel sestiere di Castello, «tuttavia non idonea per il passaggio della carrozzina fra le stanze». E un’altra alla Giudecca, rifiutata da Cristina soprattutto per paura dell’affitto troppo elevato. La terza assegnazione è giunta invece dall’Ater, «ma anche in questo caso la casa sarebbe stata troppo piccola: a fatica avremmo potuto collocarvi un letto per disabili». La situazione sembra essersi arenata e Cristina chiede che l’amministrazione locale ascolti il suo grido d’aiuto. « L’assistente sociale non risponde alle chiamate e persino la fisiatra le ha spiegato che necessitiamo di spazi ampi. Il figlio più giovane, che vive con noi, riesce a fatica a portarci fuori. Ormai scendiamo una volta ogni due mesi. Ero una donna vivace, piena di vita, ma oggi non ce la faccio più. Almeno la comunità ci è vicina».
I cognomi e le foto sono state modificate per il rispetto delle persone stesse.