Raccolta di casi di studio sul fenomeno delle estorsioni telefoniche. Questa pagina è in continuo aggiornamento.
infovercelli.it 24.01.2018 (link – permalink)
Truffato per i messaggi in chat, un uomo si toglie la vita
Alle vittime, per telefono, si presentava come “Ispettore Gigliotti” e dava pure il numero di matricola. Poi passava al sodo: A suo carico esiste un procedimento penale per un’inserzione fatta sul sito XXX. E’ una cosa seria, può aveve guai, può avere un processo, può essere reso pubblico il suo nome… E via discorrendo. Poi, una volta agganciate le vittime, arrivava la “buona notizia”: La pratica può essere archiviata con il pagamento di una multa. E chi non avrebbe pagato, di fronte alla paventata possibilità di finire in un’aula di Tribunale, dove certi messaggi privati sarebbero stati letti e fatti conoscere a tutti? Colpiva così Simone Atzori, 39enne chivassese (ma noto anche alle cronace giudiziarie del vercellese), che, insieme ad altri complici, cinque dei quali residenti in provincia di Vercelli, aveva messo in piedi un’articolata organizzazione dedita a truffe ed estorsioni online.
Atzori sarebbe la mente e il capo dell’associazione a delinquere smantellata mercoledì dai Carabinieri di Nuoro che, in collaborazione con i comandi provinciali di Vercelli, Torino e Catania, hanno dato esecuzione a 16 misure cautelari.
Oltre ad Atzori, in carcere è finito Francesco Reina, 31 anni, di Catania residente a Torino.
Ai domiciliari, invece, i quattro vercellesi coinvolti: Marco Mannai, 25 anni, di Livorno Ferraris, Cristian Pacella, 21, di Livorno Ferraris, Gerardo Farabella, 22, di Bianzè e Patrizia Nicolella, 40, di Bianzè.
Stessa misura per Mario Puorro, 49, di Torino. E ancora Eugenio Brunelli, 39, di Villareggia, Maurizio Virruso, 43, di Catania, Bruno Pacino, 31, di Caselle, Annunziata Presicci, 24, di Volpiano, Teresa Di Marco, 32, di Torino, Sabina Garabello, 35, di Torino, Salvatore Braconaro, 22, di Torino, Ajlijus Alijev, 21, di Torino.
Obbligo di dimora per Massimo Reina, 53, di Bianzè.
L’inchiesta è partita in Sardegna, dopo il suicidio di un 40enne finito nella rete della banda: prossimo a essere assunto come Oss, l’uomo, che aveva chattato su un sito di incontri gay, era stato messo sotto pressione dal finto ispettore. Al punto che, dopo aver pagato alla banda 5000 euro, esasperato, si era tolto la vita.
il mattino – 24.01.2018 (link – permalink)
Nuoro, finti poliziotti ricattano gli utenti delle chat gay: una vittima si uccide. Sedici arresti
I carabinieri del Comando provinciale di Nuoro hanno sgominato un’associazione criminale dedita alle truffe e alle estorsioni su internet che tra le sue vittime aveva anche un suicida. Dalle prime luci dell’alba i militari hanno iniziato la vasta operazione di polizia che coinvolge diversi centri del nord Italia. Sono in corso, oltre a numerose perquisizioni, l’esecuzione di 16 ordinanze di custodia cautelare emesse dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Nuoro su richiesta della Procura della Repubblica di Nuoro. I provvedimenti scaturiscono dalle indagini condotte su un’associazione a delinquere finalizzata alle truffe e alle estorsioni di ignari inserzionisti di internet.
Sono tutti residenti tra la provincia di Torino e quella di Vercelli, i componenti della presunta associazione criminale. Oltre a Simone Atzori, ritenuto il capo dell’organizzazione, e a Francesco Riina suo braccio destro, sono stati arrestati Salvatore Bracconaro, 22 anni di Torino; Massimo Reina, 53 anni di Bianzé (Vercelli); Ajljus Aljev, 21enne di Torino; Annunziata Presicci, 24 anni di Volpiano (Torino); Patrizia Nicolella, 40enne di Bianzé (Vercelli); Eugenio Brunelli, 39enne di Villareggia (Torino); Maurizio Virruso, catanese di 43 anni; Bruno Pacino, 31 anni di Caselle Torinese; Gerardo Farabella, 22enne di Bianzé (Vercelli); Marco Mannai, 25 anni e Cristian Pacella, di 21, entrambi di Livorno Ferraris (Vercelli), e Mauro Puorro, torinese di 49 anni.
Avvenire 24.01.2018 (link – permalink)
Ricatto sul web da finto agente, 40enne si toglie la vita
L’uomo aveva pubblicato foto a sfondo sessuale, poi era stato costretto a pagare 5mila euro da un falso ispettore della polizia postale
Ricatto ed estorsione corrono anche sul web. È un copione, ahimè, già conosciuto, “aggiornato” con i nuovi strumenti digitali: un uomo di 40 anni viene ricattato da un finto ispettore della Polizia postale, dopo aver pubblicato annunci e foto personali a sfondo sessuale su un sito online di incontri. Costretto a sborsare 5mila euro, si ritrova stretto nella morsa dell’estorsione e della vergogna, non resiste e si toglie la vita.
Il suicidio è avvenuto quattro mesi fa, ma la verità su quanto accaduto è stata portata alla luce oggi dalla Procura di Nuoro, che ha arrestato 17 persone, tra cui 2 in carcere e 14 ai domiciliari, con l’accusa di fare parte di un’associazione criminale specializzata in truffe ed estorsioni con base a Torino e Vercelli, ma coinvolgendo diversi centri del Nord Italia.
All’avvio delle indagini gli investigatori hanno raccolto una serie di elementi sulle attività online e i profili sui social network dell’uomo, che poi si è suicidato, arrivando così a capire come agivano gli estorsori, in particolare utilizzando dati raccolti su siti d’incontri specifici che raccolgono foto personali e a sfondo sessuale.
In totale sono state raggirate circa 600 persone: in 45 casi documentati i malviventi sono riusciti a intascare uno o più pagamenti per un giro di affari di circa mille euro al giorno. Ma come venivano “rubati” i dati personali? Contattando direttamente gli inserzionisti noti e utilizzati dai siti d’annunci commerciali e di incontri e ottenendo l’acquisizione di informazioni personali e profili social dagli stessi inserzionisti.
Una volta avvenuto il “furto digitale” d’identità e dei dati personali entrava in azione la “Matricola ER432, Ispettore Gigliotti Marco della Polizia Postale di Roma”, così si presentava alle vittime, facendo credere che esistesse un’inchiesta a loro carico per aver frequentato siti web dedicati a incontri e convincendo le persone raggirate che l’inesistente azione penale potesse venire archiviata con il pagamento di una di multa. Multa, che ovviamente, andava pagata, non a caso, in contanti o attraverso una ricarica su PostePay, senza, quindi, essere costretti a nominare il motivo della transazione e con minori garanzie sulla tracciabilità.
Il movimento, virtuale, del denaro sulle PostePay e sui conti correnti online era poi vorticoso e frenetico, in modo che venissero perse tracce dei pagamenti da parte delle vittime. Dopo la prima estorsione, continuavano le pressanti e reiterate richieste di denaro, con cifre che andavano dai tremila fino ai cinquemila euro, ma nel caso di un imprenditore piemontese si è arrivata a un’estorsione da 20mila euro.
Nel caso del 40enne di Nuoro i 5mila euro versati non erano stati sufficienti per porre la parola fine al ricatto; e, temendo che la notizia venisse diffusa sul suo posto di lavoro, l’uomo aveva deciso di farla finita. Soltanto ulteriori ricerche hanno poi permesso di far venire a galla la verità: l’ispettore Marco Gigliotti della Polizia Postale di Roma è risultato essere in realtà un cittadino 39enne di origine sarda residente da anni in Piemonte a capo di una associazione a delinquere dedita, appunto, ad estorsioni e truffe in tutto il Nord. A carico di tutti gli indagati è stato disposto anche il sequestro di beni mobili o immobili per un corrispondente di 100mila euro.
Quotidiano Canavese 24.01.2018 (link – permalink)
SUICIDA DOPO LA TRUFFA – I carabinieri arrestano 16 persone tra Canavese, Torino e la provincia di Vercelli
La banda avrebbe truffato oltre 600 persone in tutto il nord Italia partendo da annunci su internet. Questa mattina, alle prime luci dell’alba, sono scattati i blitz dei carabinieri coordinati dalla procura della Repubblica di Nuoro
Alle prime luci dell’alba, i carabinieri del comando provinciale di Nuoro, in collaborazione con i comandi provinciali di Torino, Vercelli e Catania hanno dato esecuzione all’ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare nei confronti di 20 indagati (di cui 2 in carcere, 13 ai domiciliari, 1 agli obblighi di dimora e 4 a piede libero). A carico di tutti gli indagati viene disposto anche il sequestro conservativo di beni mobili o immobili per un corrispondente di 100 mila euro. Il procedimento penale nasce dal suicidio “sospetto” di un giovane nuorese. La morte, improvvisa e ingiustificata del proprio figlio, determina i due anziani genitori a rivolgersi ai carabinieri della Stazione del loro paese per fare luce sulle ragioni che hanno indotto il giovane a togliersi la vita.
Emerge che il giovane, in attesa di essere assunto quale operatore socio-sanitario, era stato ricattato da un sedicente ispettore della polizia che, paventandogli possibili ripercussioni per l’occasione lavorativa, gli richiedeva in più occasioni il pagamento di inverosimili contravvenzioni per inesistenti violazioni connesse alla pubblicazione degli annunci a sfondo sessuale sui siti internet. L’uomo, prima di togliersi la vita, verserà ai malfattori quasi 5000 euro. La Procura della Repubblica, a carico del promotore dell’associazione, ha ipotizzato il delitto di morte come conseguenza di altro reato.
I militari dell’Arma tracciando il movimento del denaro estorto e delle comunicazioni informatiche tra la vittima e il suo aguzzino, riescono a risalire al personaggio principale dell’associazione dedita alle estorsioni/truffe online. Un 39enne, piemontese ma di origine sarda, con precedenti specifici, che si presenta alle sue vittime come «matricola ER432, Ispettore Gigliotti Marco della Polizia Postale di Roma». L’uomo è il promotore, l’organizzatore e il capo di una associazione a delinquere, radicata a Torino e Vercelli, composta da 20 elementi, con ruoli e compiti ben definiti, che opera estorsioni e truffe in tutto il nord Italia.
Il modus operandi della banda criminale consiste nel contattare gli inserzionisti dei più noti e utilizzati siti d’annunci commerciali e di incontri. Attraverso la captazione dei profili social e l’acquisizione di informazioni personali degli inserzionisti la vittima viene contattata dal sedicente ispettore Gigliotti Marco e persuasa dell’esistenza a suo carico di una denuncia/querela che potrebbe ritorcersi sulla vita privata. Il truffatore, che fa largo uso di terminologie in uso alle forze dell’ordine, una volta conquistata la fiducia della vittima, rappresenta la possibilità che l’inesistente azione penale possa venire archiviata con il pagamento di una di multa che, sovente avviene tramite bonifici su PostPay ma, in caso di ingenti somme, che arrivano anche ai 20 mila euro, avviene in contanti.
In questo caso viene orchestrata una vera e propria messinscena con finte auto civetta della polizia e finti equipaggi che, simulando un’attività investigativa a carico della vittima, si fanno consegnare denaro, in contanti, in buste sigillate destinate al pagamento delle sanzioni inesistenti. La raccolta di elementi di riscontro, effettuata in quattro mesi di intercettazioni e riscontri documentali, ha fatto emergere un’imponente numero di vittime, circa 600 quelle contattate dall’associazione.
GLI ARRESTATI
Simone Atzori 40 anni di Torino (custodia cautelare in carcere)
Francesco Reina 31 anni di Torino (custodia cautelare in carcere)
Marco Mannai 25 anni di Livorno Ferraris (arresti domiciliari)
Cristian Pacella 21 anni di Livorno Ferraris (arresti domiciliari)
Mario Puorro 49 anni di Torino (arresti domiciliari)
Eugenio Brunelli 39 anni di Villareggia (arresti domiciliari)
Maurizio Virruso 43 anni di Catania (arresti domiciliari)
Bruno Pacino 31 anni di Caselle Torinese (arresti domiciliari)
Gerardo Farabella 22 anni di Bianzè (arresti domiciliari)
Annunziata Presicci 24 anni di Volpiano (arresti domiciliari)
Patrizia Nicolella 40 anni di Bianzè (arresti domiciliari)
Teresa di Marco 32 anni di Torino (arresti domiciliari)
Sabina Garabello 35 anni di Torino (arresti domiciliari)
Salvatore Braconaro 22 anni di Torino (arresti domiciliari)
Massimo Reina 53 anni di Bianzè (obbligo di dimora)
Ajljus Alijev 21 anni di Torino (arresti domiciliari)
La sentinella del Canavese 26.01.2018 (link – permalink)
Ricatti per incontri hard, 16 arresti
Ci sono anche due uomini di Villareggia e una giovane donna di Volpiano tra le 16 persone arrestate, all’alba di mercoledì 23, nel corso di un blitz condotto dai carabinieri del nucleo provinciale di Nuoro, con la collaborazione delle compagnie di Chivasso, che si è concluso con l’arresto di 20 persone (di cui 2 in carcere, 13 ai domiciliari, 1 agli obblighi di dimora e 4 a piede libero) con l’accusa per tutti di associazione a delinquere finalizzata alla truffa.
A carico di tutti gli indagati è stato disposto anche il sequestro conservativo di beni mobili ed immobili per un valore di 100 mila euro. Abita invece a San Benigno una delle 600 vittime del sodalizio di truffatori on line. Si tratta di un quarantenne con una storia che assomiglia a quella del ragazzo di Nuoro, da cui erano partite le indagini, che si era tolto la vita perché ricattato per aver pubblicato sul web annunci a sfondo sessuale. Anche il quarantenne di San Benigno era stato raggirato da un sedicente ispettore di polizia che, paventandogli possibili ripercussioni sul lavoro, gli avrebbe richiesto in più occasioni il pagamento di inverosimili contravvenzioni per inesistenti violazioni connesse alla pubblicazione degli annunci legati alla vendita su siti specializzati di vari elettrodomestici.
Fino ad oggi il quarantenne di San Benigno era arrivato a versare più di mille euro. I presunti truffatori finiti nel mirino dei carabinieri di Nuoro, dopo un anno di delicate indagini, sono Eugenio Brunelli, 39 anni di Villareggia (agli arresti domiciliari) che sarebbe socio in affari (illegali) di Simone Atzori, 40 anni, domiciliato a Villareggia (l’ordinanza gli è stata notificata in carcere) e di Annunziata Presicci, 24 anni di Volpiano (agli arresti domiciliari). I tre canavesani hanno collezionato precedenti per reati sempre legati alle estorsioni ed alla truffe. E proprio Atzori sarebbe il finto ispettore di polizia che avrebbe estorto 5mila euro al giovane nuorese fino ad indurlo al suicidio.
Il procedimento penale della Procura di Nuoro, nasce nel 2017, dal suicidio sospetto di un giovane nuorese. I carabinieri indagando sul suicidio del giovane, tracciando il movimento del denaro estorto e delle comunicazioni informatiche tra la vittima e il suo aguzzino, riescono a risalire a Atzori, che sarebbe il personaggio principale dell’associazione dedita alle estorsioni e truffe online. Alle sue vittime si presenterebbe come: matricola ER432, ispettore Gigliotti Marco della Polizia postale di Roma. Sarebbe lui il promotore, l’organizzatore e il capo dell’associazione a delinquere, radicata a Torino e Vercelli, composta dai venti arrestati, ciascuno con ruoli e compiti ben definiti. Il modus operandi della banda criminale consiste nel contattare gli inserzionisti dei più noti e utilizzati siti d’annunci commerciali e di incontri sessuali.
Attraverso la captazione dei profili social e l’acquisizione di informazioni personali degli inserzionisti, la vittima viene contattata dal sedicente ispettore e persuasa dell’esistenza a suo carico di una querela che potrebbe ritorcersi sulla vita privata e professionale. Il truffatore, che fa largo uso di terminologie in uso alle forze dell’ordine, una volta conquistata la fiducia della vittima, rappresenta la possibilità che l’inesistente azione penale possa venire archiviata con il pagamento di una di multa che, sovente avviene tramite bonifici su PostPay ma, in caso di ingenti somme, che arrivano anche ai ventimila euro, avviene in contanti.
I trasferimenti di denaro sulle PostPay e sui conti correnti on line è vorticoso e frenetico, al fine di far perdere le tracce dei pagamenti da parte delle vittime. Il denaro viene immediatamente utilizzato per l’acquisto di piccole quantità di droga e in un caso, il capo della banda, dopo aver incassato il denaro dalla vittima si reca da un concessionario per acquistare un auto di lusso.
Unione Sarda -19.10.2018 (link – permalink)
Ricatti su siti a luci rosse, nove anni al finto poliziotto sardo
Simone Atzori è sotto processo anche per un suicidio
Nove anni di reclusione, uno in più rispetto alle richieste del pm Livia Locci.
È questa l’esemplare condanna per estorsione e truffa inflitta ieri dal Tribunale di Torino a Simone Atzori, piemontese e sardo d’origine con la passione per le truffe e l’accusa di aver provocato il suicidio di un giovane barbaricino.
L’uomo ieri è stato giudicato dal gup del Tribunale di Torino insieme ad altre 13 persone, condannate con pene che vanno dai 6 mesi ai 3 anni e 7 mesi.
Lui, Atzori, è il finto poliziotto che chiamava le sue vittime spacciandosi per Marco Gigliotti, della Polpost di Roma. Gli bastava pronunciare la parola “matricola ER432” per far cadere ogni dubbio. E convincerli che, avendo violato le leggi pubblicando annunci illegali su siti come Subito.it oppure in altri portali di incontri erotici, dovevano “pagare” una sanzione amministrativa per evitare guai con la giustizia.
Le indagini erano partite da un suicidio avvenuto in un centro del Nuorese. La famiglia della vittima non si spiegava il suo gesto, ma aveva trovato degli appunti in cui erano riportati numeri di carte Postepay e codici fiscali dei beneficiari. Insieme a questi c’era un bigliettino con su scritto Gigliotti, Roma Er432. Consegnato tutto ai militari, il resto è venuto da sé e l’inchiesta, da Nuoro, si è allargata a macchia d’olio.
Ad Atzori, per il suicidio, è stata mossa anche l’accusa di morte come conseguenza di altro delitto, procedimento che è ancora nella fase delle indagini preliminari.
La Stampa 13.11.2019 (link – permalink)
Torino, annunci hard in rete: il re delle cyber-truffe potrebbe tornare in libertà
Il quarantenne Simone Atzori era stato condannato a 9 anni. Una perizia psichiatrica giocherebbe in suo favore
Potrebbe tornare libero entro pochi mesi Simone Atzori, 41 anni, soprannominato “re delle cyber-truffe”, già condannato a 9 anni di carcere per associazione per delinquere finalizzata alle estorsioni e alle truffe telematiche. Si faceva passare per agente della Polizia postale e ricattava personaggi che avevano risposto ad annunci “hard” su internet. In un’occasione, lo sconforto e la vergogna avevano spinto un sarto di Cagliari a uccidersi. Accusa supplementare per Atzori.
Lo scenario della scarcerazione è legato alla perizia psichiatrica chiesta dall’avvocato Antonio Mencobello, subentrato nella difesa di Atzori nel processo in Corte d’Appello. Il legale ha letto la trascrizione di alcune telefonate intercettate dagli inquirenti e ha chiesto allo specialista Enzo Bosco di visitare Atzori. Il medico è arrivato alla conclusione che l’uomo è affetto da disturbo narcisistico della personalità, aggravato dall’uso (all’epoca, nel 2017) massiccio di cocaina. Risultato: seminfermità mentale.
Su questa base, l’avvocato Mencobello ha chiesto alla Corte d’Appello di sottoporre il proprio cliente a una perizia d’ufficio, affidata dai giudici a Maurizio Desana. Nell’eventualità che la conclusione coincida con quella del perito di parte, i giudici potrebbero decidere di ridurre la pena fino a due terzi. E per Atzori significherebbe la libertà. Con buona pace delle decine di “bidonati”.
Corriere Torino 30.06.2021 (link – permalink)
Telefonate e annunci sul web, 50 colpi e 46 vittime per il re delle truffe
Al via l’udienza preliminare nell’aula bunker del carcere delle Vallette. L’imputato è specializzato in raggiri a vittime scovate nei siti di incontri
Non è il luogo del delitto, ma dell’udienza (preliminare), però già basta a rendere l’idea della pluralità dei reati in menù: si deve infatti aprire l’aula bunker delle Vallette per accogliere (e valutare) 32 imputati, 46 parti offese e una cinquantina di truffe pianificate tra annunci sul web e telefonate. Arriva così davanti al gup Agostino Pasquariello il secondo filone di indagine che ruota attorno a Simone Atzori, 43 anni, origini sarde e nascita a Chivasso, cyber truffatore seriale, specializzato in raggiri a vittime scovate nei siti di incontri. In almanacco ha già cinque anni e sei mesi di reclusione in Appello, dove gli era stata quasi dimezzata la condanna del primo grado (nove anni), grazie alla riqualificazione di diversi episodi: da estorsioni a truffe, tentate o consumate. Per la soddisfazione del difensore, l’avvocato Antonio Mencobello.
Siamo alla parte seconda, messa di nuovo pazientemente in fila dal pubblico ministero Livia Locci, che ha coordinato la miriadi di accertamenti dei carabinieri. Rischia il processo anche la trentina di complici — difesi tra gli altri dagli avvocati Carmine Ventura, Rocco Femia, Alessandro Melano, Stefania Pignochino — quelli che, per lo più, in un modo o nell’altro misero a disposizione le carte postpay sulle quali far accreditare i soldi delle truffe. La tecnica era quasi sempre la stessa: spacciandosi per un ispettore della polizia postale, Atzori segnalava un «annuncio dal contenuto vietato», avvertendo che i reati potevano essere sanati con il versamento di somme di denaro. A seconda dei casi, via telefono, si minacciavano gravi conseguenze: «Se non versi 400 euro, informiamo tua moglie, oltre all’intervento dei servizi sociali per occuparsi dei tuoi bambini».E ancora: «Le mando una pattuglia a casa per portarle via la sua bambina».
Tra gli episodi contestati — ai soli complici — c’è anche quello ai danni di un giovane sardo, che si tolse poi la vita nel luglio del 2017. Quella volta il raggiro iniziò da un criptico messaggio, spedito da Atzori, poi seguito da 35 telefonate, fatte dallo stesso numero. A chiamare, scoprirono gli accertamenti dei carabinieri di Nuoro, era sempre il cyber truffatore. Sostenendo di essere un fantomatico «agente della polizia postale di nome Gigliotti», contestava la pubblicazione di un annuncio vietato su un sito di incontri per soli uomini: se non mandi i soldi, sarai perseguito penalmente. Con il rischio che il tutto sarebbe poi potuto diventare di pubblico dominio. La vittima paga, con cinque versamenti, per un totale di 4.200 euro. Un bonifico dietro l’altro. Ovvero, tutti i suoi risparmi. Non basta. Le richieste continuano, con trenta telefonate in poco più di un’ora, dalle 12.06 alle 13.15. Sono passate da poco le 14.30, quando il ragazzo, schiacciato dall’angoscia, decide di farla finita. Durante i colpi, Atzori era invece tranquillo, come da un’intercettazione nella quale confidava nella mitezza delle pene previste dal reato di truffa: «Con l’articolo 640, mi fanno una pippa».
Corriere Torino 26.05.2023 (link – permalink)
Torino, la truffa degli annunci hard: «Paga la multa e la tua famiglia non verrà a saperlo». In sedici a processo
Si fingevano agenti della polizia postale. Le vittime venivano adescate anche su siti di incontri. Raggiri che hanno fruttato migliaia di euro
Il loro terreno di caccia erano due piattaforme on line: Subito.it e Bakekaincontri.com. Selezionavano gli annunci dal tenore sentimentale, poi contattavano gli inserzionisti e fingendosi agenti della polizia postale paventavano violazioni di ogni genere, costringendoli così a pagare pesanti multe per non incorrere in guai peggiori con la giustizia. Un giro di truffe 2.0 in cui sono rimaste intrappolate decine di vittime che hanno sborsato centinaia e centinaia di euro perché il lato privato della loro vita non finesse in un’aula di Tribunale.
Adesso in Tribunale ci sono coloro che a quelle truffe (a vario titolo) avrebbero preso parte, anche solo prestando il proprio nome e la post pay per l’accredito dei versamenti. L’indagato principale, Simone Atzori, 43 anni (difeso Antonio Mencobello), è in carcere: sta scontando quattro anni di reclusione, inflitti al termine di un patteggiamento. Pena che si aggiunge a una precedente condanna, sempre a quattro anni, per episodi già passati in giudicato. Alla sbarra ci sono i presunti complici. Coloro che saltuariamente hanno ricoperto un ruolo (seppur marginale) nel raggiro e che hanno scelto il rito ordinario: nel procedimento iniziato in questi giorni si contano sedici imputati — difesi, tra gli altri, dagli avvocati Gabriella Vogliotti, Fulvio Violo, Giuseppe Magnano e Stefania Audisio —, ai quali è contestata l’accusa di truffa.
La narrazione che emerge dagli atti dell’inchiesta mette in evidenza le false accuse che venivano prospettate alle vittime, alle quali — di volta in volta — veniva detto di aver pubblicato un annuncio «dal contenuto vietato», «non igienicamente certificato», «privo di autocertificazione» o «pornografico». Tutte bugie, il cui unico scopo era destare ansia e preoccupazione nel malcapitato, convinto di essere stato contattato dalla polizia postale. A quel punto, i presunti truffatori — stando all’impianto accusatorio del pm Livia Locci — forzavano la mano, paventando all’inserzionista chissà quali conseguenze: arresto, querele, processi penali, sequestro di beni, comunicazioni ufficiali alle consorti e convocazioni di servizi sociali per prendere in carico i figli minori. Tanto bastava per gettare le vittime nel panico, timorose di vedere andare la propria esistenza in frantumi per un annuncio equivoco.
A un uomo il falso agente aveva contestato di «aver navigato su un sito senza aver prima effettuato la necessaria registrazione» per poi prospettargli l’eventualità di inviare una pattuglia che «avrebbe portato via la sua bambina». In sostanza, questo era il messaggio sotteso alle minacce: la pratica poteva essere risolta con un click, cioè con un versamento di qualche centinaia di euro. Dopodiché, tutto sarebbe stato archiviato. I soldi erano da versare su carte post pay, a volte in più tranche. Negli atti si parla di versamenti di 400, 700, 1.000 euro. Tra le vittime c’è anche chi ha versato 4.200 euro per evitare conseguenze penali. Un giro d’affari in cui tutti i partecipanti — che oggi rispondono in concorso — avrebbero avuto un «ingiusto profitto» di cui oggi devono rispondere. E ieri in aula hanno sfilato gli investigatori che hanno condotto le indagini e ricostruito la fitta rete di rapporti e interessi tra i protagonisti della vicenda.